"I principi fondanti del Servizio Sanitario Nazionale - universalità, uguaglianza, equità - oggi sono stati completamente traditi, senza sanità pubblica ci sarebbe un disastro economico e sociale”.

E’ il monito lanciato da Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, ospite nel secondo appuntamento dei “Mercoledì della Medicina”, ciclo di incontri per informare i cittadini sull’importanza del Servizio Sanitario Nazionale voluto dall’Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri di Piacenza con il sostegno della Fondazione di Piacenza e Vigevano. Cartabellotta - intervenuto a Palazzo Rota Pisaroni in un incontro molto partecipato - ha paragonato il SSN ad un ghiacciaio in lento, ma inesorabile, scivolamento. “La salute - ha sottolineato richiamando l’articolo 32 della Costituzione - condiziona l’esigibilità di tutti gli altri diritti, anche se nessuno si può curare senza un’opera pubblica - che è appunto il Servizio Sanitario Nazionale - fatta di strutture, tecnologie e professionisti sanitari. Ma quelli che nel 1978 sono stati i principi fondanti del Ssn, oggi si sono trasformati in criticità che i cittadini sperimentano quotidianamente”. Qualche esempio: “I livelli essenziali di assistenza spesso restano sulla carta e non sono esigibili da tutte le persone, vi sono diseguaglianze di accesso alle prestazioni sanitarie e iniquità di accesso a fronte degli stessi bisogni di salute”.

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Il presidente della Fondazione Gimbe - organizzazione che a dieci anni dall’avvio della campagna #SalviamoSSN, ha lanciato nei mesi scorsi una rete civica nazionale con sezioni provinciali per coinvolgere sempre più persone nella tutela e nel rilancio del SSN - ha quindi passato in rassegna una serie di criticità, a partire dalle risorse messe a disposizione per la sanità pubblica: “Dal 2010 al 2019 - ha spiegato - si è assistito ad un progressivo definanziamento da parte di tutti i Governi; un salto in alto c’è stato durante la pandemia, ma queste risorse sono state utilizzate per l’emergenza e non per rafforzare in maniera strutturale il servizio sanitario. E anche oggi non sembra esserci un rilancio del finanziamento pubblico”. Cartabellotta ha quindi sottolineato un altro aspetto: “Nel 2023 la spesa sanitaria totale in Italia ha raggiunto i 176.1 miliardi, di cui 130,3 miliardi di spesa pubblica, 40,6 miliardi, il 23%, di spesa privata pagata direttamente dalle famiglie e 5,2 miliardi di spesa privata intermediata da fondi sanitari e assicurazioni: questo significa che oggi, sulla base dei criteri dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, ci troviamo in un sistema “misto” (pubblico e privato, ndr) senza saperlo”. Ed anche rispetto agli altri Paesi, l’Italia è scesa in classifica, sia in termini di percentuale di spesa sanitaria sul Pil, l'ultimo dato è del 6,2%, che di spesa pubblica pro capite: “In Europa – rileva Cartabellotta – ci posizioniamo davanti solo a Portogallo e Grecia e ai paesi dell’Est”. Un trend negativo iniziato nel 2011: “Fino a quel momento la spesa sanitaria pubblica pro capite era in linea con la media degli altri Paesi Europei, il gap è poi aumentato e si è ulteriormente ampliato durante e dopo la pandemia, per arrivare nel 2023 ad una differenza di 600 euro rispetto alla media Ocse: in un sistema così poco finanziato è molto complicato garantire e tutelare la salute delle persone”. E’ vero - osserva il Presidente della Fondazione Gimbe - ci sono sprechi, ma dal nostro punto di vista la loro entità non è facilmente stimabile e, in assenza di riforme, sono difficilmente monetizzabili: l’esistenza di sprechi e inefficienze non può costituire un alibi per la politica per giustificare il mancato aumento del Fabbisogno Sanitario Nazionale”.cartabellotta 3

Cartabellotta ha poi evidenziato la “frattura strutturale” tra Nord e sud - parlando di vera e propria “questione meridionale” in sanità - per quanto riguarda l’erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza, che si riflettono anche sulla mobilità sanitaria, con Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto che raccolgono da sole il 94,1% del saldo attivo, ovvero la differenza tra risorse ricevute per curare pazienti provenienti da altre Regioni e quelle versate per i propri cittadini che si sono spostati altrove. “Con un ulteriore indebolimento del Mezzogiorno il rischio è che le regioni del Nord più attrattive non riescano ad assorbire questa grande quantità di pazienti, trovandosi in difficoltà nel garantire un’adeguata erogazione delle prestazioni anche ai propri cittadini residenti". Quindi il tema della carenza del personale sanitario: “Rispetto alla media Ocse, in Italia - a differenza degli infermieri - non c'è una carenza di medici, ci sono però circa 80mila professionisti che non sono direttamente coinvolti nell’erogazione dei livelli essenziali di assistenza e si posizionano nel libero mercato”. Preoccupa poi la carenza dei medici di famiglia - ne mancano 5.500 in Italia, 536 in Emilia Romagna - e quella che riguarda alcune specialità, certificate dalle percentuali di assegnazione delle borse di studio: “L’aspetto da evidenziare - rimarca Cartabellotta - è che ai primi posti delle specialità meno attrattive ve ne sono alcune - come anatomia patologia, microbiologia, radioterapia - fondamentali per il funzionamento degli ospedali”. Cosa fare per invertire la rotta e rilanciare il Servizio Sanitario Nazionale? La proposta di Cartabellotta è quella di un patto politico e sociale: “Serve un rilancio consistente e stabile del finanziamento pubblico, accompagnato da coraggiose riforme di sistema. Il Servizio Sanitario Nazionale è una conquista sociale irrinunciabile, un pilastro della nostra democrazia, uno strumento di coesione sociale e un motore per lo sviluppo economico del Paese, perderlo non compromette solo la salute delle persone, ma mortifica la loro dignità e riduce le loro capacità di realizzare ambizioni e obiettivi, portando ad un disastro sanitario, sociale ed economico senza precedenti”.

Temi ulterioramente sviluppati nella successiva tavola rotonda, moderata dal giornalista Giovanni Volpi, alla quale hanno partecipato anche il presidente dell'OMCeO Piacenza, Augusto Pagani, il direttore generale dell'Ausl di Piacenza, Paola Bardasi e il medico Giorgio Macellari. “Ho grande fiducia nella classe sanitaria italiana, sono convinto che la politica non possa disinteressarsi del Sistema Sanitario Nazionale - ha detto Macellari, che ha parlato di “diritti negati” come il mancato rispetto dei tempi (“ci sono tanti casi di pazienti che hanno ricevuto referti istologici con ritardi incomprensibili, mettendo a rischio la propria salute"), evidenziando la necessità di luoghi di cura in cui si faccia ricerca e l’importanza della medicina preventiva: “In Italia si cura molto bene, ma pecchiamo in prevenzione, che, se applicata, permetterebbe l’eliminazione del 50% delle malattie, tra cui quelle oncologiche”. “Dobbiamo esercitare il diritto - ha concluso - di avere medici soddisfatti di lavorare nel pubblico, oggi invece il rischio è di avere medici stanchi, sottopagati, minacciati, e quindi impoveriti e indeboliti: e un sistema sanitario composto da professionisti deboli è a sua volta debole”.

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“Sul tema della prevenzione e dell’adesione agli screening Piacenza può ancora migliorare molto - ha affermato Bardasi -. Sulla parte distrettuale ritengo vi sia una buona capacità di gestire le fragilità del nostro territorio, grazie alla collaborazione con gli amministratori locali, con attenzione alla disequità. Questo ci ha consentito di realizzare con una certa tempestività tutti gli investimenti del Pnrr, dalle otto case di comunità alle tecnologie che abbiamo sostituito. L’area ospedaliera penso sia quella in cui i professionisti soffrono un po’ di più, abbiamo un ospedale logisticamente inadeguato e nel quale è difficile fare innovazione: la Regione ha deciso di investire per una nuova struttura, verso la quale stiamo andando celermente”. Sulle liste d’attesa: “La Regione ha investito risorse, a Piacenza nel 2024 sono arrivati circa 3 milioni che abbiamo utilizzato soprattutto per assumere professionisti: questo ci ha consentito di ottenere una performance buona, sopra la media regionale, per quanto riguarda il rispetto dei tempi sia prime visite che sulla diagnostica. Oggi viaggiamo circa ad un 90% dell’indice di performance sulle prestazioni di diagnostica e circa all’89% sulle visite; le criticità riguardano dermatologia e chirurgia vascolare, sulle quali stiamo lavorando per fornire adeguate risposte. Ci vuole coraggio e fare in modo che i professionisti lavorino bene, nonostante le risorse non siano adeguate”.

“Il tema della salute - ha tirato le fila dell’incontro Pagani - è troppo spesso considerato sotto un solo punto di vista; bisogna essere capaci di prevedere il futuro, di capire quali sono le necessità reali, le possibilità di realizzare i nostri programmi e impegnarsi per arrivare al traguardo tutti insieme, mettendo ciascuno la propria parte di competenza, di pazienza e buona volontà. Siamo convinti che il Servizio Sanitario Nazionale sia una risorsa irrinunciabile per il Paese, il pilastro per garantire la salute: bisogna esserne consapevoli ed essere disposti ciascuno a fare la propria parte in questo impegno di salvataggio. Il patto politico e sociale di cui parlava Nino Cartabellotta è forse davvero l’unica possibilità per gestire le cose, e credo davvero sia giunto il momento di attivarlo”.