Pubblichiamo un nuovo contributo dell’avvocato Elisabetta Soavi, che, nell’ambito della collaborazione avviata con l’OMCeO Piacenza, commenta alcune significative sentenze, in particolare della Corte di Cassazione, in ambito di responsabilità medica.

Nel testo che segue l’avvocato Soavi prende in esame un pronunciamento della Corte Suprema che riguarda la cartella clinica ed il suo valore legale: essendo un atto pubblico deve essere sempre completa e veritiera.

L’unitarietà del fascicolo clinico impone al responsabile dell’intervento un obbligo personale di controllo, verifica e veridica attestazione dei fatti, pena l’integrazione di gravi responsabilità giuridiche. Tale principio che si è venuto a consolidare nel tempo, è stato ribadito in modo chiaro da una recentissima pronuncia della Suprema Corte. La Corte di Cassazione con la sentenza del 9 maggio 2025 n. 17647, ribadisce l’importanza per ogni medico che opera in una struttura sanitaria pubblica di mantenere standard elevati nella compilazione della documentazione clinica, consapevole che ogni omissione, alterazione o imprecisione può rilevare sia sotto il profilo penale che civilistico.

Il caso sottoposto al vaglio della Cassazione, ha riguardato un medico ginecologo, capo dell'equipe operatoria presso il reparto di ginecologia e ostetricia dell'Ospedale civile di Catanzaro, imputato per la condotta di falso, ai sensi dell'art. 479 in relazione all'art. 476, comma 2, c.p.., avente ad oggetto la cartella clinica relativa all'intervento di taglio cesareo d'urgenza eseguito su una paziente. In particolare, è contestato che “nella predetta qualità, e quale primo operatore dell'intervento suddetto, l'imputato aveva attestato contrariamente al vero di essere stato informato dall'anestesista di una notevole brachicardia con ipossiemia della paziente, sulla quale l’anestesista stessa aveva praticato un massaggio cardiaco con somministrazione di farmaci. In realtà, l'anestesista, dopo aver ventilato manualmente la paziente, successivamente all'estrazione del feto, si era allontanata dal capezzale della medesima senza attivare la ventilazione automatica. A ciò seguiva una severa desaturazione e grave brachicardia, che non era segnalata da alcun allarme dell'apparecchiatura anestesiologica, in quanto gli allarmi erano stati posti in modalità silenziosa e della quale si accorgeva lo specializzando, che effettuava un massaggio cardiaco e veniva chiamato altro medico rianimatore”. La Corte d’Appello, in riforma della sentenza di primo grado, aveva assolto il medico ginecologo poiché il problema emerso sulla paziente "era di tipo anestesiologico, non chirurgico", difettava un interesse dell'imputato alla alterazione dei fatti che in ogni caso avrebbero dovuto trovare rappresentazione nella cartella anestesiologica. Nel caso di specie l’imputato aveva indicato nella cartella clinica "un sintetico riferimento ai problemi ipossici e all'intervento di altro anestesista" e quindi i giudici della Corte d’Appello sono pervenuti alla conclusione della insussistenza del reato di falso contestato, in quanto i problemi verificatisi durante l'intervento dovevano essere descritti nella cartella anestesiologica, quale sede propria per la descrizione dei problemi ipossici e dell'intervento di altro anestesista.

Pare opportuno ripercorrere il testo della norma di cui all’art. 479 c.p. “Falsità ideologica del pubblico ufficiale in atti pubblici” che punisce la condotta di falso: “Il pubblico ufficiale, che ricevendo o formando un atto nell'esercizio delle sue funzioni, attesta falsamente che un fatto è stato da lui compiuto o è avvenuto alla sua presenza, o attesta come da lui ricevute dichiarazioni a lui non rese, ovvero omette o altera dichiarazioni da lui ricevute, o comunque attesta falsamente fatti dei quali l'atto è destinato a provare la verità, soggiace alle pene stabilite nell'art. 476 c.p.”. A sua volta, l’art. 476 c.p. punisce “Il pubblico ufficiale, che, nell'esercizio delle sue funzioni, forma, in tutto o in parte, un atto falso o altera un atto vero, è punito con la reclusione da uno a sei anni. Se la falsità concerne un atto o parte di un atto, che faccia fede fino a querela di falso, la reclusione è da tre a dieci anni”. Sul punto, si evidenzia che è consolidato il principio secondo cui la cartella clinica redatta da un medico di una struttura pubblica è atto pubblico munito di fede privilegiata con riferimento alla sua provenienza dal pubblico ufficiale e ai fatti da questi attestati come avvenuti in sua presenza. La Cassazione con la sentenza in esame afferma che “la cartella clinica redatta da un medico di un ospedale pubblico produce effetti incidenti su situazioni giuridiche soggettive di rilevanza pubblicistica e documenta, altresì, le attività compiute dal pubblico ufficiale che ne assume la paternità. Trattasi di atto pubblico che esplica la funzione di diario del decorso della malattia e di altri eventi clinici rilevanti, sicché i fatti devono esservi annotati contestualmente al loro verificarsi (…) La descrizione dell'intervento contenuta nella cartella clinica deve dunque essere completa, oltre che veritiera, non potendo essere tale onere assolto attraverso l'implicito rinvio ad altri atti, tanto più laddove - come nel caso in esame - le complicanze anestesiologiche verificatesi e le condotte tenute dalla anestesista presente in sala operatoria avevano avuto un ruolo centrale nella dinamica dell'intervento e determinante per le conseguenze infauste subite dalla persona offesa”.

Nel caso di specie, la Cassazione ha evidenziato che era provata la difformità di quanto attestato nella cartella clinica dal medico ginecologo rispetto a quanto realmente accaduto. Risultava che l'imputato aveva attestato di essere stato informato dall'anestesista, dopo la sutura della breccia uterina, di una notevole brachicardia con ipossiemia della paziente sulla quale le stessa aveva praticato un massaggio cardiaco e somministrato dei farmaci, mentre in realtà dalle dichiarazioni rese dai membri dell'equipe operatoria era emerso che, dopo l'estrazione del feto, l'anestesista si era allontanata dall'apparecchiatura elettromedicale alla quale voltava le spalle, senza attivare la ventilazione meccanica e avendo in precedenza disattivato gli allarmi sui parametri vitali. La paziente era pertanto rimasta senza ossigeno e si era trovata in una condizione di grave ipossia che si era protratta per diversi minuti, subendo danni cerebrali irreversibili. Di tale situazione si era accorto lo specializzando che aveva praticato un massaggio cardiaco fino all'arrivo di un'altra anestesista. La Cassazione, in conclusione, sulla base dei principi sopra evidenziati, ha affermato la sussistenza di una responsabilità penale per il reato di falso in capo al medico ginecologo.

Elisabetta Soavi

 

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