La “lettura critica dell’articolo scientifico” è stata al centro del convegno, promosso dall’Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri di Piacenza, ospitato sabato 18 febbraio dalla Sala Convegni Veggioletta della Banca di Piacenza.

Un tema più che mai attualità: di fronte al mare magnum della letteratura scientifica, è necessario che ogni operatore sanitario sia in grado di affrontare criticamente ciò che sta leggendo valutandone il grado di attendibilità. “La lettura critica dell’articolo scientifico fa parte del nostro bagaglio culturale - ha introdotto l’incontro la dottoressa Anna Maria Andena -, ma spesso ci si trova di fronte alla difficoltà di recepirne i contenuti, a causa ad esempio di conflitti di interessi o di “trabocchetti” di tipo matematico in cui si può incorrere nella lettura dei dati”.

COME LEGGERE UNO STUDIO CLINICO - “Pazienza” è la virtù richiamata dalla dottoressa Silvia Peveri per approcciarsi ad uno studio clinico: “E’ uno strumento importante, da leggere con occhio critico per capire se ci troviamo davanti ad un lavoro ben strutturato: necessario valutare la validità dei dati, la completezza dei metodi utilizzati, senza dimenticare il rispetto dei principi etici”. Cercare le fonti giuste, sapere quali domande farsi, conservare sempre un po’ di diffidenza: questo il “percorso” delineato dalla dottoressa Peveri per il medico che affronta l’analisi di uno studio clinico. Punto di partenza la “piramide delle prove”: alla base, insieme all’opinione degli esperti, si trovano gli studi osservazionali (dove non si sperimenta, ma si osserva quanto succede) con il case report o serie di casi, descrizione della storia clinica di uno o più pazienti; a salire gli studi di coorte, studi prospettici per stabilire l’esistenza di una relazione causale fra un fattore di rischio e una malattia, e lo studio caso controllo, studio retrospettivo per verificare l’esistenza di una relazione causale fra un fattore di rischio e una malattia. Si arriva quindi agli studi sperimentali, con gli studi clinici con gruppo di controllo randomizzato, nel quale l’assegnazione dei pazienti ai gruppi avviene in modo casuale e gli esiti seguiti in modo prospettico; al vertice della piramide si trovano le metanalisi, revisioni sistematiche di studi su determinate problematiche sanitarie. “Anche le metanalisi hanno criticità - ha evidenziato Peveri -, a partire dall’aspetto dell’eterogeneità: non è detto infatti che gli studi analizzati siano gli unici su un determinato argomento. Dall’altra parte spesso gli studi osservazionali sono gli unici possibili per studiare certi fenomeni”.

INDUSTRIA E RISCHI PER IL PAZIENTE – Dei rischi del rapporto tra industria del farmaco e mondo medico ha parlato il professor Massimo Piepoli, mettendo in evidenza anche le possibili criticità per il paziente. “È responsabilità nostra - ha più volte sottolineato portando diversi esempi derivanti dalla sua esperienza come cardiologo - capire se l’informazione che riceviamo sia corretta o meno. Importante che i medici siano istruiti anche nei confronti alle strategie di marketing messe in campo dalle industrie e siano capaci di prendere le adeguate contromisure”. Citando alcune ricerche che hanno portato alla luce come la maggior parte delle evidenze scientifiche negli ultimi anni non provenga dal settore pubblico, e l’incidenza di risultati a favore dello “sponsor” in quegli studi finanziati da industrie farmaceutiche, Piepoli ha poi evidenziato la difficoltà di penetrazione degli studi “no profit”, che si attesta su percentuali decisamente basse. “In Italia in particolare - ha spiegato - la ricerca no profit non può essere utilizzata nè a livello industriale nè a fini di lucro, ma non esiste studio con risultati importanti che non abbia rilevanza economica”. “È necessario promuovere la cultura scientifica del saper leggere un articolo e della trasparenza dei dati, conoscere cioè come nascono e come vengono realizzati. Oggi la responsabilità medica aumenta sempre di più nella prescrizione e nell’aggiornamento professionale: essere o non essere aggiornato, conoscere o meno i farmaci e i loro effetti collaterali è una nostra importante responsabilità”.

SAPER INTERPRETARE I DATI - Ma con quanta facilità si può essere “imbrogliati” da un buon analista? A toccare il tema è stato il prof. Francesco Civardi, data scientist, ovvero colui, secondo la definizione usata per aprire il suo intervento, che “tortura i dati per far confessare loro qualunque cosa”. Civardi ha fornito alcuni strumenti per districarsi all’interno dei dati contenuti in uno studio clinico. Diversi i parametri da considerare: dalla differenza tra rischio assoluto e relativo (quest’ultimo può essere elevato ma non significare nulla), al cosiddetto p-value (confrontando due diversi trattamenti, più tale valore è basso maggiore è la probabilità che i trattamenti siano diversi nell’effetto: “ma se una differenza è statisticamente significativa, può invece non dire nulla sull’entità dell’effetto, che è ciò che interessa al paziente”), all’intervallo di confidenza (l’intervallo di valori plausibili all’interno di un parametro considerato) in grado di offrire informazioni complementari al valore di P. Numerosi anche gli interrogativi da porsi davanti ad uno studio: “Il campione utilizzato è sufficientemente grande? Lo studio è stato interrotto in modo anticipato che compromette qualità e completezza? L’efficacia giustifica eventuali effetti collaterali? Il bilancio efficacia-sicurezza è paziente-specifico? Ci sono errori nel disegno dello studio o nel modo in cui è stato condotto? I risultati si applicano ai miei pazienti?”.

LA STRUTTURA DELLO STUDIO CLINICO - A chiudere il convegno è stato l’articolato intervento del professor Giovanni Brandi, partito dal dato secondo cui solo il 15% degli articoli pubblicati ha una reale utilità e dalla considerazione che oggi sempre più la medicina deve interfacciarsi con la capacità di avere a disposizione farmaci sulla base del rapporto “costi - efficacia”. Dopo aver toccato il concetto di “evidenza” (“non è il Vangelo, anche l’evidenza evapora”) si è concentrato, con il supporto di casi concreti, su un’approfondita analisi del rigoroso processo dello studio clinico per la sperimentazione di un principio attivo, solitamente diviso in varie fasi: dalla fase zero che riguarda le caratteristiche della molecola chimica da cui si ritiene di poter ricavare un farmaco, passando da una prima valutazione su sicurezza, tollerabilità e dosaggio del principio attivo, al test sulla sua efficacia biologica, all’allargamento degli studi ad un gruppo sperimentale di trattamento, fino all’immissione in commercio del farmaco stesso.

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