La Nefrologia dell’ospedale di Piacenza ha coordinato il lavoro di altri tredici reparti della regione, confluito in una significativa ricerca in corso di pubblicazione sul Journal of Nephrology.

Al centro dello studio la glomerulonefrite membranosa, patologia con una incidenza annuale di 1 caso ogni 100.000 abitanti (10.000 nuovi casi all'anno in Europa), che - se non adeguatamente curata - può compromettere la funzione del rene a tal punto da rendere necessaria la dialisi o il trapianto. Lo studio - dal titolo "Primary membranous nephropathy in Italia Region Emilia-Romagna, results of a large study with extended follow up" (primo autore il dottor Vittorio Albertazzi di Piacenza) - ha coinvolto 205 pazienti, 36 dei quali a Piacenza, seguiti per otto anni dai centri nefrologici regionali: si tratta della seconda casistica più ampia finora analizzata a livello internazionale. “Siamo riusciti - spiega il dottor Roberto Scarpioni, direttore di Nefrologia e dialisi dell’ospedale “Guglielmo da Saliceto” di Piacenza e “Corresponding Author” dello studio - a mettere insieme tutte le tredici nefrologie della regione per raccogliere dati su questa patologia, la più frequente infiammazione renale in pazienti con proteinuria. Una malattia - che vede tra i principali sintomi il gonfiore alla gambe, la pressione alta, fino ad un riscontro di insufficienza renale - che in circa il 30% dei casi si risolve spontaneamente, mentre oltre il 50% dei restanti, a distanza di 5-10 anni, va incontro ad una perdita di funzionalità renale con necessità di dialisi o trapianto”. 

“Lo scopo della ricerca è stato quello di valutare la tempestività della diagnosi e l’efficacia delle diverse terapie, il cosiddetto “Ciclo Ponticelli”, con la combinazione di cortisone e ciclofosfamide, e, terapia più recente, gli anticorpi monoclonali. Il dato positivo emerso è che le terapie funzionano, ma vanno confezionate “su misura” per ogni paziente. La malattia si può curare se presa in tempo, per questo è molto importante arrivare ad una diagnosi tempestiva con la biopsia renale; inoltre, attraverso il dosaggio di specifici anticorpi presenti nel sangue dei pazienti è possibile monitorare l’andamento della terapia”. “Si è trattato per noi di una esperienza molto significativa - conclude Scarpioni -, un lavoro che ha oltretutto coinvolto giovani professionisti e per questo motivo di soddisfazione. Speriamo di proseguire questa collaborazione a livello regionale”.